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Capitolo 24

La sofferenza psicologica: un problema gestibile

Le fasi di reazione alla diagnosi oncologica

La malattia cronica, e in particolare la diagnosi di tumore, può produrre negli individui una serie di reazioni psicologiche che si esprimono in modalità differenti, che possono coinvolgere il corpo e la mente, andando a compromettere il delicato equilibrio psico-fisico su cui si fonda l’essere umano.

La diagnosi oncologica rischia di creare una frattura tra tutti i livelli che si intrecciano nella vita di ognuno di noi, partendo dalla fiducia per il proprio corpo che improvvisamente viene meno, estendendosi fino a condizioni cognitive, emotive e razionali, ed esistenziali. Il pattern più caratteristico della risposta umana a eventi di tale entità è caratterizzato dalla sequenza di reazioni emozionali e comportamentali in cui sembrano succedersi diversi momenti.

• Fase di shock (incredulità e protesta). È la fase immediatamente successiva alla diagnosi, una fase di grande impatto emotivo che impatta profondamente con il senso del Sé. Il paziente spesso mette in atto meccanismi di difesa che lo proteggano dal troppo dolore e dall’incredulità, e lo allontanano da una realtà che non si sente pronto ad affrontare.
• Fase di transizione, di reazione. È la fase in cui la realtà non si può più negare e attraverso le fasi di trattamento (clinico e chirurgico) si impone con tutta la sua fatica. Questa è la fase più lunga e in cui l’impatto psicologico dei trattamenti assume una valenza importante, sia fisicamente che emotivamente. Le emozioni sono fluttuanti, contraddittorie e vanno dalla paura alla disperazione, al sentirsi onnipotenti, al regredire fino ad emozioni più primordiali.
• Fase di elaborazione degli eventi e accettazione. Si cerca di dare un senso a ciò che è successo, di dare risposte più ampie alle domande del “perché”, presenti inizialmente.

Nelle fasi successive, il dover convivere con la malattia assume un valore centrale e viene spesso definita come la fase del riorientamento, in cui si assiste (anche grazie al supporto psico-oncologico) alla costruzione di nuovi significati da dare alla malattia come evento esistenziale.

Quali sono le emozioni legate alla malattia?

Le emozioni più diffuse che caratterizzano chi è affetto da cancro sono principalmente legate a paura e rabbia. La paura è quell’emozione primitiva, viscerale, che ci prepara alla fuga, che ci mette in allerta per un pericolo di vita imminente e può assumere varie forme di espressione nelle varie fasi della malattia e del trattamento: paura della patologia e delle sue conseguenze, paura di decidere (scelta del medico e delle strutture), paura dei trattamenti, dei postumi e dei cambiamenti fisici, paura degli aspetti psicologici, paura esistenziale legata al proprio ruolo nel mondo, paura per la famiglia e paure economiche.

La rabbia spesso soffoca, con la sua potenza, tutti gli altri aspetti emotivi; rappresenta un momento critico che può coincidere con quello di massima richiesta di aiuto, ma anche con quello del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé, oppure viene nascosto con la metafora di una guerra da affrontare. Essa non va soffocata, ma vista, accolta, osservata, fino a capire a quali significati più profondi è agganciata e da quali trae origine.

Il dolore inteso come disperazione, sofferenza psicologica, tono dell’umore depresso, generalmente è considerato una fase successiva, quella in cui ci si rende conto di aver perso la vita di prima, senza tumore; la fase diagnostica e quella delle terapie spesso possono anche generare sollievo, inizialmente, per qualcuno che si sta occupando del paziente e della sua malattia e che toglie dalla paralisi iniziale.

Quali sono le implicazioni psico-sociali della malattia oncologica?
La malattia oncologica è, come abbiamo visto, un trauma non solo fisico ma anche psicologico, sociale ed esistenziale che porta con sé un’impossibilità per il paziente a proseguire con la propria progettualità e con quella di tutto il nucleo famigliare; tutto viene congelato da una nuova presenza in famiglia che ospita lo spazio domestico in modo invadente: la malattia.

La malattia oncologica si può definire, in termini psicologici, come una malattia anche relazionale, perché quando ci si ammala cambiano equilibri e dinamiche relative a tutto il nucleo famigliare. Ogni sistema famigliare si trova a dover ripristinare nuove omeostasi, nuove dinamiche di relazione, nuovi ruoli, nuove routine all’interno delle quali vanno inseriti controlli, terapie, malesseri fisici, cambiamenti corporei, sofferenza fisica che va inevitabilmente ad impattare sulle relazioni, di coppia, con i figli, con le famiglie di origine, problemi economici ecc.

La coppia

La relazione di coppia viene colpita in maniera marcata dalla malattia; un punto di impatto importante riguardante la coppia è rappresentato dalla sessualità, che risulta investita nelle situazioni in cui il tumore si presenta nella sfera genitale (carcinoma mammario, uterino, ovarico, testicolare). È un argomento che clinicamente viene poco valutato (perché ritenuto secondario), ma in termini di qualità della vita e di benessere della vita di coppia crea un dolore psicologico importante.

Impatto sui figli

Anche il vissuto emotivo dei figli di un genitore che si ammala è un argomento psicologicamente rilevante, mostrando disturbi del comportamento, difficoltà del sonno, disturbi dell’alimentazione, difficoltà di relazione coi compagni e a volte atteggiamenti aggressivi.

È importante comunicare in maniera efficace e onesta (in modo compatibile con l’età del figlio) quello che sta accadendo, in modo che non vi siano segreti e possibilità che il bambino possa ingigantire o sentirsi in qualche modo colpevole del malessere emotivo che percepisce in casa.

Quali sono le strategie individuali e famigliari per affrontare la diagnosi di cancro?

Il concetto di stile di coping (traducibile letteralmente dall’inglese con “far fronte”, “tenere testa”) è utilizzato in psicologia per indicare il modo con cui le persone affrontano eventi stressanti. Questo processo comprende due fasi: una cognitiva, legata alla valutazione dell’evento, l’altra comportamentale, che comprende le azioni adottate dalla persona per farvi fronte. In psico-oncologia la particolare modalità di affrontare la malattia oncologica si è rivelata un aspetto di fondamentale importanza. Infatti, lo stile adottato è in grado di influenzare una serie di aspetti come la qualità della vita dopo la diagnosi, la comparsa di psicopatologia a lungo termine, la risposta e l’aderenza ai trattamenti e, per alcuni, addirittura il decorso biologico della malattia stessa. Vediamo quali sono i differenti stili di coping e le loro implicazioni.

Atteggiamento combattivo

I pazienti che tendono a vedere la malattia come una sfida e a mettere in atto risposte flessibili e differenziate, favoriscono una visione più positiva dell’evento senza sottovalutare il pericolo potenziale. Questo stile è associato a una minore sofferenza psicologica, una sensazione di controllo personale sul proprio stato di salute, maggior aderenza alle terapie e un decorso più favorevole della malattia.

Atteggiamento fatalista

Individui con un atteggiamento fatalista considerano la malattia come qualcosa di “scelto” dal destino e quindi percepiscono di avere scarso controllo sugli eventi. Presentano rassegnazione e accettazione e in genere manifestano bassi livelli di ansia e depressione.

Atteggiamento ansioso

Alcuni invece tendono ad affrontare la malattia oncologica con un atteggiamento che è definito preoccupazione ansiosa. L’elevata quota di ansia e paura fa sì che il tumore divenga il centro della vita della persona e catalizzi tutte le sue energie, mentali e fisiche. Ne deriva una continua richiesta di rassicurazione, anche attraverso continui controlli medici, oppure, al contrario, una fuga dalle cure perché troppo angoscianti. Atteggiamento evitante

Altri ancora presentano uno stile di evitamento caratterizzato dalla continua ricerca di distrazione rispetto ai temi legati alla malattia (“Cerco di non pensarci”). La persona non sente disagio in quanto pensieri e vissuti spiacevoli sono allontanati, i livelli di ansia e depressione infatti sono bassi. Questo atteggiamento si traduce con la percezione di scarso controllo personale, ridotti comportamenti attivi verso la malattia, fino a una possibile riduzione dell’aderenza ai trattamenti.

Atteggiamento di disperazione

Infine, alcuni reagiscono con un atteggiamento caratterizzato da inermità e disperazione. La malattia è vista come un evento fatale (“Non ho futuro”). La persona percepisce scarso controllo rispetto alle sue condizioni di salute e presenta sintomi marcati di ansia e depressione. Tutto questo ostacola la ricerca di aiuto e l’aderenza alle terapie (“Non c’è più nulla da fare, nessuno mi può aiutare”). Il comportamento è di passività e rinuncia.

Accanto agli stili di coping individuali, troviamo lo stile di coping famigliare che può essere influenzato da diversi fattori:

• storia della famiglia e dei singoli membri,
• stadio di sviluppo della famiglia,
• struttura famigliare (organizzazione, definizione di ruoli),
• funzionamento famigliare (coesione, livello di comunicazione tra i membri, adattabilità e permesso di poter esprimere le proprie emozioni), • risorse di supporto (presenza di figure di riferimento vicine, rete di relazioni sociali allargate).

Uno degli obiettivi del lavoro psicologico in oncologia è quello di aiutare il paziente a costruire e adottare stili di coping maggiormente funzionali per favorire il processo di adattamento/accettazione della propria condizione.

Bibliografia

• Buckman R, Kason Y. La comunicazione della diagnosi: in caso di malattie gravi. Cortina (2003).
• Campolmi E, Prendi L. La terapia psicologica in oncologia: l’approccio breve strategico tra mente e malattia. Giunti (2019).
• Grassi L, Biondi M, Costantini A. Manuale pratico di psico-oncologia. Il pensiero scientifico (2003).
• Pettingale K, Morris T, Greer S, Haybittle JL. Mental attitudes to cancer: an additional prognostic factor. The Lancet (1985), 325 (8431), 750.
• http://www.wewillcare.it/