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Capitolo 15

La differenza tra curare e prendersi cura

Una patologia oncologica grave ed alcune volte evolutiva può essere considerata fragile?

Sì, perché questa vita subisce innumerevoli cambiamenti. Il corpo cambia l’immagine corporea, diventa un luogo di sofferenza, oltre che il soggetto non riesce a mantenere le sue performance. Le attività di prima, i tempi e gli spostamenti, i normali gesti della vita quotidiana possono diventare enormemente difficili.

Anche la mente, la psiche della persona malata cambiano. L’arrivo di una malattia seria colpisce l’individuo e la sua famiglia come un vero tsunami. I sentimenti e i pensieri si colorano di tristezza, sfiducia nel futuro, ansia, rabbia, rassegnazione, negazione. Ma l’aspetto che colpisce di più e che viene spesso riportato all’operatore, è la sensazione, da quel momento, di una minaccia imminente, una spada di Damocle che non si sa quando potrebbe cadere definitivamente sulla testa, mettendo fine alla stessa vita.

La sensazione che crolli il pavimento sotto i piedi, la perdita dei soliti e rassicuranti punti di riferimento. Le relazioni sociali e familiari cambiano. Pilastri imprescindibili della vita del malato come il lavoro, il ruolo familiare, gli impegni sociali, un hobby, da un momento all’altro possono subire un forte ridimensionamento. La vita, intesa come un’unità di mente, corpo, spirito e ambiente cambia. Sorgono o risorgono prepotenti alcune domande fondamentali dell’esistenza dell’uomo: sul senso della vita e della morte, sul bene e sul male, sul perdono, sulla speranza in una vita ulteriore, su ciò che si è realizzato. Alcune condizioni particolari possono rendere ancora più difficile il vivere questa fragilità. La mancanza di risorse economiche unita ad una patologia grave possono rompere il precario equilibrio di vite vissute al limite della sostenibilità.

Persone senza dimora, con abitazioni inadeguate, con problemi concomitanti di marginalità. La condizione di anziani, spesso soli, la mancanza di una rete amicale e sociale di valido sostegno, la condizione di stranieri, per il problema della barriera linguistica, ma anche di diversità religiosa, culturale.

Quali sono i bisogni assistenziali per un paziente oncologico?

I pazienti affetti da patologie tumorali presentano problemi complessi che richiedono un approccio globale per essere affrontati. Questi problemi possono essere declinati in bisogni assistenziali di tipo fisico, psicologico, sociale e spirituale.

Bisogni fisici
I bisogni fisici riguardano i sintomi che la malattia o i trattamenti impongono al paziente. È ovviamente difficile descriverli compiutamente ma comunque i principali, e direi i più invalidanti per il paziente, sono il dolore, l’astenia e la perdita di peso ed energia, la perdita di appetito, il vomito, l’affanno, l’agitazione psicomotoria, la diarrea, una infiammazione che può colpire vari organi e mucose o la cute. Per questi aspetti della patologia oggi disponiamo di molti trattamenti efficaci.

Bisogni psicologici
La presa in carico dei bisogni psicologici rappresenta certo una parte fondamentale dell’assistenza. Il paziente può presentare paura del presente e del futuro, depressione, ansia, disturbi del sonno, fino ad una vera angoscia di morte.

Ovviamente quando necessario viene prescritta anche una terapia farmacologica, ma rimane imprescindibile il colloquio con uno psicologo o counselor. La diversità tra le due professioni è chiara, quindi il counselor opera solo in una fase in cui questi bisogni psicologici trovano soddisfazione in un dialogo empatico e accogliente, non nei casi in cui occorre instaurare una vera e propria terapia psicologica.

Il bisogno forse più evidente per il paziente è quello di essere accompagnato nella riorganizzazione cognitiva ed emotiva che la malattia impone. Quindi il bisogno di poter raccontare di sé e della sua vita, di poter ripercorrere la propria storia di malattia e di vita per provare a dare un senso a tutto ciò che sta accadendo. Il problema del “dare un senso” è il vero filo rosso che percorre tutto l’accompagnamento del paziente.

Il “dare senso” si pone anche come bisogno spirituale, come possibilità di risposta a quelle domande alte e ultime che affiorano in certi frangenti dell’esistenza.

Bisogni sociali
I bisogni sociali afferiscono alla sfera delle relazioni e della cultura della persona e del suo ambiente. In alcuni casi il paziente soffre una sorta di emarginazione dagli ambiti che fino a quel momento avevano caratterizzato la sua vita.

Vi può essere una perdita del ruolo familiare, con ripercussioni su tutto l’assetto della famiglia. Il paziente può entrare in una difficoltà di comunicazione. Ci possono essere delle difficoltà nel mantenere il ruolo lavorativo, la partecipazione attiva alla cittadinanza. Inoltre una perdita o diminuzione della percezione della propria dignità e dell’autostima.

Oggi per la cultura che ci circonda è molto facile arrivare addirittura a provare vergogna per essere diventati non più efficienti e produttivi, ma quasi un peso per la società.

Bisogni spirituali
La persona malata presenta infine, e non certo per ordine di importanza, dei bisogni spirituali. Questi bisogni attengono ai valori di riferimento che una persona ha, alle relazioni con gli altri, con il creato, con Dio. A come la persona vive e vede la parte trascendente della propria vita. Ma questi bisogni riguardano anche il problema della verità e consapevolezza.

Senza presumere di poterne fare un elenco esaustivo, tra i bisogni spirituali più importanti si riconoscono il bisogno di sicurezza, di appartenenza, di amore, di comprensione, di accettazione, di stima, di fiducia. Il bisogno di sicurezza deriva da quella sensazione di minaccia imminente che il paziente sente sempre presente nella sua vita.

La risposta più efficace a questo bisogno è di esserci e far sentire questo al paziente in ogni modo. Il bisogno di appartenenza si esprime con la necessità da parte del paziente di sentirsi ancora parte di qualcosa: della famiglia, di un gruppo di amici, di una comunità parrocchiale, di un gruppo di lavoro.

Certo può essere accolto non facendo sentire il paziente un peso per gli altri e un emarginato. Il bisogno di amore richiede un’attenzione delicata alle necessità che ciascuna persona ha di continuare a ricevere gesti e parole di affetto, di vivere momenti di intimità e di contatto con i propri cari, di poter parlare e agire sulla sfera della sua affettività e sessualità. Il bisogno di comprensione suppone che il paziente si possa sentire ascoltato e rispettato nelle proprie esigenze e per le proprie sensazioni.

Nonostante le nuove caratteristiche fisiche e mentali il paziente ha anche bisogno di essere accettato per quello che è, e per quello che è diventato. Inoltre, il paziente manifesta il desiderio di essere coinvolto ancora nei processi decisionali che lo riguardano e di poter esprimere le proprie opinioni e il proprio ruolo il più a lungo possibile.

Questo proposito è bene ricordare che anche nel nostro Paese vi è stata un’evoluzione della giurisprudenza in merito ai temi etici quali il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Con la legge 219 del 2017 questa materia è stata, infatti, nuovamente disciplinata anche per quanto riguarda le cure palliative e il trattamento del dolore.

Ma soprattutto questa legge ha ribadito che il paziente e solo lui, se è in grado, può decidere per sé insieme all’équipe curante prevedendo tutti i passaggi che la malattia e le terapie presenteranno, manifestando e condividendo insieme i propri desideri e volontà (pianificazione condivisa delle cure). Questo rimane ancor oggi purtroppo tra gli aspetti più trascurati nella pratica assistenziale.

Il paziente oncologico, infine, ha bisogno di poter riporre la propria fiducia in qualcuno che non lo ingannerà, che si prenderà cura di lui, secondo quanto egli desidererà; bisogno metaforico di porre la testa sulla spalla di chi è disposto a compiere questo percorso fino in fondo con lui.

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