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Capitolo 5

Il Romanzo familiare del cancro

La scoperta del cancro si inserisce necessariamente nella trama familiare: travalica i confini di vita personali e si ripercuote sulle relazioni affettive e sulle routine domestiche. Laddove la rete familiare è presente, i ruoli e le abitudini al suo interno subiranno verosimilmente mutamenti e variazioni nel tempo. In tutte le altre situazioni, affrontare il peso della malattia e del percorso di cura senza una rete familiare di supporto può risultare maggiormente difficoltoso, acuendo sentimenti di solitudine e vuoto.

L’impatto della malattia nella vita di coppia: Io, Tu, Noi, “Lei” ……e la Haka

“Tutte le famiglie felici si somigliano;
ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.’’
L. Tolstoj

La considerazione per la relazione di coppia e l’attenzione alle dinamiche familiari sono da considerarsi a pieno titolo parte integrante del percorso di cura della malattia che va “affrontata e non subita”, cercando il modo di integrarla nella propria vita personale e familiare.

Quando il cancro irrompe nella vita in corso, nel romanzo familiare inizia un nuovo capitolo la cui sceneggiatura ha il sapore amaro di un ostacolo che può sembrare talvolta insormontabile, di una sfida non scelta e spesso temuta che coinvolgerà a vario titolo tutta la famiglia.

L’insorgenza e il decorso della malattia può mettere a dura prova la relazione di coppia poiché altera la visione del progetto di vita e scompone l’intimità precedentemente acquisita, generando ripercussioni negative sulla qualità del legame.

Al pari della paziente, anche il partner subisce un duro contraccolpo: deve fare i conti con il timore di perdere la persona amata e con i mutamenti imposti dal decorso della malattia e può sviluppare sintomi di malessere psicologico, ansia e depressione (Waldron et al., 2013).

Per entrambi, il cancro è una presenza sgradita e nemica: si insinua di nascosto, cresce nell’ombra, attacca alle spalle. Non chiede il permesso di entrare e non lascia possibilità di scelta; così facendo si impone come “membro aggiunto” della coppia e della famiglia, invadendo corpo e mente e occupando tutti gli spazi vitali disponibili.

È bene ricordare che, nella storia di malattia e nel percorso di cura, eventuali difficoltà di coppia potranno insorgere fisiologicamente in alcuni momenti e dovrebbero essere affrontate tempestivamente, eventualmente anche con l’aiuto di professionisti esperti, per evitare di alimentare processi maladattivi.

Si creeranno facilmente momenti di nervosismo e tensione che potranno dare adito a fraintendimenti e discussioni. I vissuti emotivi sollecitati dalla nuova condizione, la comparsa di nuovi bisogni (dichiarati o taciuti) della paziente e del partner e le nuove attribuzioni di ruolo possono altresì impattare sulla comunicabilità all’interno della coppia, alimentando processi di distanziamento emotivo.

Al pari del popolo Maori, anche la coppia e la famiglia che vive momenti di difficoltà può imparare a danzare la propria “Haka”. Famosa per essere diventata il rituale della nazionale della Nuova Zelanda (gli All Blacks), essa rappresenta di fatto l’espressione intensa, emozionante e disciplinata di sentimenti e stati d’animo.

Le parole e le grida che la compongono, le intense espressioni del viso, le mani che battono con forza contro il petto sono elementi necessari e funzionali al compimento della sfida. Allo stesso modo, anche il nervosismo e la tensione generati dall’irruzione della malattia nella coppia e nella famiglia sono parte della lotta contro il cancro e manifestano la fatica, il dolore, le difficoltà e il coraggio necessari ad affrontare il nemico.

Pillole pratiche:
Impegniamoci a mantenere sempre aperto il canale della comunicazione.
È importante che entrambi i partner possano esprimere reciprocamente i propri bisogni, pensieri paure e stati d’animo e continuino a fornirsi aiuto reciproco secondo le capacità del momento.
Ricordiamoci di riempire il “serbatoio emotivo” della coppia mantenendo il più possibile le routine, le abitudini e i riti che fino a quel momento hanno contribuito a mantenere vivo il legame affettivo: coccole, abbracci, intimità, passeggiate, cene e condivisione sono potenti integratori naturali per il benessere personale e di coppia e alleati utili per la gestione della malattia.
I momenti di tensione, rabbia e conflittualità vanno riconosciuti come parte del percorso di cura e sono affrontabili poiché derivati da fattori esterni alla coppia: pazienza reciproca, ascolto e dialogo saranno farmaci indispensabili da usare senza moderazione

Famiglia e cancro: la ferita che sanguina e la forza del legame
“Ricordo che mia mamma diceva che
se una persona conserva il proprio cuore,
dovunque vada, non deve temere di perdere nulla.”
H Murakami

L’irruzione di una diagnosi oncologica nella propria esistenza rischia di scomporre il puzzle di vita precedentemente costruito e la famiglia aggredita dal cancro viene profondamente ferita da tutto ciò che comporterà affrontare la nuova condizione di malattia.

Gli equilibri personali, gli schemi di vita e le abitudini familiari subiscono profondi scossoni e si corre il pericolo di rendere la malattia l’unico specchio in cui riflettere la propria immagine: essa domina il mondo emotivo e i nostri pensieri, influenza la progettualità futura e condiziona relazioni affettive più significative.

Lo stile di funzionamento della famiglia e il modo di rappresentarsi e vivere la malattia all’interno della coppia e delle mura domestiche, rappresentano elementi chiave per il mantenimento del benessere emotivo della paziente e dei suoi congiunti.

Se da un lato alcuni meccanismi possono ostacolare il percorso di elaborazione ed accettazione della malattia, dall’altro una buona struttura familiare può spingere ad attivare risorse efficaci per fronteggiare la nuova condizione.

Possiamo immaginare il cancro come un parente finora sconosciuto, invadente e sgradito, che impone la sua presenza in casa nostra senza essere stato invitato.

Per gestirlo è necessario che tutti i membri (paziente, marito, figli, genitori, fratelli, sorelle, etc) partecipino adeguatamente agli avvenimenti in corso. Per arginare la sua intrusione evitando che scompagini ulteriormente il nucleo familiare, è necessario che i suoi componenti condividano i propri stati emotivi e sappiano ricorrere alla forza relazionale del sistema, fornendo e ricevendo reciprocamente aiuto e supporto nei momenti di necessità.

Al pari delle pazienti, anche i familiari sperimentano emozioni intense e pensieri intrusivi con cui dovranno fare i conti: il sentimento di smarrimento per quanto sta accadendo, la paura di non sapere come affrontare la situazione e cosa dire ai figli, il timore di perdere la persona amata, la fatica fisica ed emotiva dettata dalla nuova organizzazione familiare, il senso di solitudine e l’incomunicabilità di certi pensieri ed emozioni, la nostalgia del passato, i dubbi sul presente e le incertezze rispetto al futuro.

L’esperienza clinica rivela che frequentemente la presenza ingombrante della malattia influenza negativamente le relazioni familiari generando conflitti, difficoltà di comunicazione e isolamento sociale (Gritti, Di Caprio, Resicato 2011).

Può accadere, ad esempio, che la persona malata non si senta compresa dai propri cari o abbia difficoltà a condividere i propri stati d’animo; d’altro canto anche il familiare potrebbe sentirsi stanco e affaticato dal peso della gestione quotidiana e delle molte preoccupazioni.

L’adattamento familiare si configura dunque come un percorso ad ostacoli che varia in relazione all’evoluzione della malattia e all’andamento delle cure; è un progetto artigianale, unico ed originale che si comporrà di paure e speranze, di pensieri ed emozioni contrastanti, di elementi stressanti e di altrettanti fattori protettivi.

In simili circostanze è possibile ricorrere a due potenti strumenti: se la malattia oncologica rappresenta l’elemento perturbante che attacca e ferisce la famiglia, il senso di identità personale e la forza del legame familiare costituiscono scudi protettivi da utilizzare nella battaglia contro il cancro.

Nel corso degli anni ho constatato l’importanza per le pazienti di riconoscere il valore della propria identità, di rimanere aggrappate ai progetti costruiti, ai ruoli ricoperti, ai sogni realizzati e a quelli ancora in divenire.

È importante ricordare che non perdiamo “chi siamo” solo perché ci siamo ammalati; anche dopo aver ricevuto una diagnosi di malattia si rimane “individui e famiglia” e si conservano i propri ruoli: la paziente rimane donna, moglie, madre, figlia, sorella, lavoratrice, amica!

In questo modo capiamo che il trattamento della malattia comprende anche la possibilità di prendersi cura in modo adeguato del proprio mondo personale, affettivo e familiare che continua ad esistere e ad avere valore speciale che riguarda, in particolare, la forza del legame.

In una delle sue favole, Esopo associa l’unione familiare ad un insieme di bastoncini legati tra loro: se è possibile spezzare un unico bastoncino, non si riesce a spezzare un fascio di legnetti uniti tra loro.

Allo stesso modo, in un sistema familiare funzionale i vari componenti sono tenuti insieme da un legame d’amore profondo che non viene distrutto neanche nei momenti di maggiore conflittualità o incomprensione.

Quello stesso legame favorisce l’autonomia di ciascun membro accompagnando il raggiungimento dell’indipendenza e rimane disponibile e pronto all’uso come un serbatoio a cui attingere nelle diverse circostanze della vita. La forza del legame familiare rinforza e sostiene la possibilità di affrontare i momenti di difficoltà “insieme”: ciascun membro della famiglia si sentirà parte di un sistema che accoglie e protegge, e saprà di non essere solo.

La voce delle pazienti:
Quanto ho pianto quando ho scoperto il cancro!
Guardavo i miei figli e piangevo, pensavo a me e piangevo, immaginavo il futuro e piangevo; non potevo creder che stesse accadendo proprio a me! Ci sono dei momenti in cui mi arrabbio senza riuscire a controllarmi. Spesso mi capita di farlo proprio con mio marito e mi rendo conto che a volte lo tratto davvero male. A casa nostra sono cambiate tante cose e la fatica è tanta! Io faccio di tutto per mantenere le abitudini che avevo prima, mi occupo della casa, dei compiti dei figli, delle varie cose da fare ma ci sono giorni in cui non ce la faccio e mio marito deve pensare al lavoro, alla casa, alla spesa, ad accompagnare i figli a scuola. Io continuo a fare la mia parte per come posso in questo momento ma senza di lui non so come avrei fatto….
Le parole del marito….
“È un momento molto difficile per la nostra famiglia e vorrei riuscire a fare di più. Fino a poco tempo fa ero molto concentrato sul lavoro, capitava spesso che uscivo la mattina e rientravo la sera ma ora devo garantire una maggiore presenza a casa e per me non è sempre facile. A volte non so bene come comportarmi – soprattutto con i figli-, allora chiedo a mia moglie le “istruzioni per l’uso”; per lei è sempre stato facile comprendere di cosa avevano bisogno e oggi è ancora lei che mi aiuta a capire cosa fare. Voglio continuare a combattere per lei, per noi e per i nostri figli.

Cancro e figli: l’arte di navigare insieme nelle difficoltà

“Il compito di un bambino, supportato dalla cooperazione di genitori attenti e responsabili, è sviluppare l’abitudine a non darsi per vinto di fronte a sfide e ostacoli”.
M. Seligman

Parlare con i figli rispetto alla presenza del cancro in famiglia è un compito difficile e delicato, complesso e articolato.

È bene che la coppia genitoriale si prenda del tempo per riflettere cercando insieme il modo migliore di affrontare l’argomento in famiglia: ogni figlio ha la propria “soglia di tollerabilità” e le proprie risorse, pertanto la comunicazione dovrebbe essere il più possibile autentica ma anche graduale e tarata su quel bambino, in relazione all’età e alle competenze e abilità specifiche.

Parlare con i figli è necessario ed utile e la comunicazione deve essere valida e veritiera; allo stesso tempo, essa andrà modulata in funzione delle età dei figli: se con i bimbi piccoli ricorreremo maggiormente alle favole o al gioco per aiutarli a capire cosa sta accadendo, con i bambini più grandi e con gli adolescenti sarà possibile intavolare discorsi più articolati. In tutti i casi, la comunicazione non si esaurisce in un unico momento ma dovrà essere ripresa in più tempi, in base alle necessità e domande dei figli o alle situazioni contingenti.

A tal proposito, può essere utile confrontarsi con psico-oncologi che aiutino i genitori a trovare i tempi e gli strumenti più opportuni per comunicare con i figli nel modo corretto e per poterli sostenere lungo tutto il percorso di cura.

Per molti genitori le difficoltà di comunicazione nascono dal disagio personale sollecitato dal cancro: alcuni lamentano il timore di non riuscire a gestire adeguatamente la propria emotività durante la conversazione e si schermano dietro l’idea che non sia un bene condividere con i figli temi dolorosi.

Altri evitano di condividere con i figli i propri stati d’animo o la condizione di malattia pensando che eludere certi argomenti protegga dal dolore le persone coinvolte. In molti casi si ritiene che i bambini non siano in grado di comprendere ciò che sta accadendo e si scambia la protezione che è bene avere nei loro confronti, con l’alterazione della realtà come se “non dire” equivalesse a non vivere certe esperienze.

Di fatto i sentimenti di tristezza, paura, rabbia e fatica sono parte dell’esistenza umana e prima o poi ciascuno di noi li sperimenterà: il modo migliore per proteggere i nostri figli non è illudersi di poterli preservare dalla sofferenza emotiva ma aiutarli ad attivare le risorse necessarie per affrontarla, aiutati e supportati da adulti disponibili.

In generale, la decisione di tacere o nascondere la propria condizione di malattia non rappresenta l’opzione migliore né si configura come la scelta che tutela maggiormente il benessere dei propri figli. Questi si renderanno presto conto che in famiglia ci sono stati cambiamenti nell’organizzazione logistica e nel clima emotivo che si respira in casa: le insolite assenze della mamma, i cambiamenti nelle abitudini quotidiane, i discorsi tra adulti fatti a bassa voce e uno strano via vai di amici e parenti lasciano intendere ai bambini che sta accadendo qualcosa di significativo.

Tensioni, malesseri, stati di agitazione e sotterfugi vengono inevitabilmente recepiti dai figli che, privati della possibilità di acquisire le informazioni nel modo corretto, non potranno condividerle con gli adulti di riferimento o ricevere le spiegazioni necessarie ad elaborare correttamente quanto sta accadendo. La percezione di un “segreto” di famiglia non condiviso può alimentare sentimenti di esclusione e isolamento e favorire nei figli una lettura scorretta del reale. Vedendo mamma e papà nervosi o tristi e non ricevendo spiegazioni adeguate a riguardo, è possibile che il bambino sviluppi sentimenti di colpa, attribuendo a sé stesso la causa del malessere familiare percepito. In alcuni casi il “non detto” può alimentare nel figlio vissuti di ansia ed angoscia e portarlo ad immaginare la presenza di situazioni di gravità superiore rispetto a quanto realmente sta accadendo.

Se partiamo dall’assunto che i bambini sono naturalmente coinvolti nel romanzo familiare, diventa allora fondamentale aiutarli ad entrare nel modo corretto nel racconto di quanto accade, coltivando un atteggiamento di fiducia nella loro abilità di recupero e supportandoli correttamente nel processo di elaborazione della realtà.

Riprendendo la celebre frase di un noto autore è utile ricordare che

“le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini lo sanno già. Le favole insegnano ai bambini che i draghi possono essere uccisi” (GK Chesterton).

Parlare con i bambini e i ragazzi dell’esperienza della malattia, dà loro l’opportunità di condividere i propri vissuti, di essere aiutati ad elaborare nel modo giusto quanto sta accadendo potendo manifestando anche i dubbi, i timori e le incertezze. I nostri figli hanno molte più risorse di quante immaginiamo e sono in grado di elaborare le esperienze di vita dolorose a patto che le figure adulte di riferimento li aiutino a comprendere che “possono” affrontarle!

Nella possibilità di affrontare gli eventi insieme agli adulti, nella con-divisione, si dividono le fatiche e si sommano le risorse: i bambini sapranno di essere ascoltati e supportati nell’affrontare gli eventi di vita, sentendosi amati ed accompagnati ad elaborare quanto necessario. Possiamo paragonare l’insorgenza della malattia ad una tempesta che sorprende l’imbarcazione familiare durante la navigazione. Un bambino che non riceve spiegazioni in merito agli accadimenti familiari può essere paragonato ad un naufrago che si ritrova da solo su una zattera senza ritrovare la rotta. Di contro, quando in famiglia si comunica adeguatamente rispetto alla malattia si configurano le condizioni per affrontare la tempesta su una solida imbarcazione a motore che punta verso il porto.

Anche se parlare con i figli è difficile, è bene tenere presente che la condivisione andrà a beneficio di tutti gli attori coinvolti. I genitori sperimenteranno che è possibile condividere le proprie emozioni con i figli e ciò a volte li solleverà da un ideale di perfezione assolutamente artefatto: essere buoni genitori non vuol dire che bisogna farsi vedere sempre sereni e tranquilli, supereroi senza macchia e senza paura. Al contrario, condividere le proprie emozioni, esprimere preoccupazione o tristezza è assolutamente possibile ed utile poiché aiuta i nostri figli a riconoscere e accogliere il proprio mondo emotivo imparando a gestirlo.

Tutto ciò a patto che non chiediamo loro di consolarci e non li sovraccarichiamo di responsabilità; si può essere turbati e piangere insieme, salvo poi terminare quel momento in modo positivo condividendo una qualsiasi altra attività. Così facendo insegneremo ai bambini che le difficoltà esistono e ci toccano facendoci soffrire, ma si possono affrontare. Il dolore è parte del percorso, non il suo fine, ed è necessario attraversarlo per poter raggiungere la tappa successiva del viaggio. Adottando una buona comunicazione e condivisione in famiglia, aiuteremo i nostri figli a sperimentare che le emozioni non sono un pericolo da evitare ma risorse da utilizzare: la rabbia e la tristezza sperimentate da mamma in questo momento sono parte della spinta vitale che le permette di affrontare interventi chirurgici e cure che procurano dolore o effetti collaterali con l’obiettivo di ricominciare a vivere come e meglio di prima!

Ogni fine è un nuovo inizio

Nonostante la presenza del cancro il percorso di vita prosegue e va avanti tra gioie e dolori, rinunce e opportunità in bilico tra le quali districarsi, a volte con fatica a volte con maggiore facilità.

È una strada da percorrere insieme, tenendosi per mano come coppia e come famiglia e aiutando i nostri figli ad affrontare il dolore senza rimanere imbrigliati nell’angoscia ma sperimentando ciascuno le proprie capacità.

In tutto ciò si erge la necessità di continuare a coltivare la speranza e a progettare la propria esistenza e la responsabilità di insegnare ai nostri figli a fare altrettanto: la vita di ciascuno di noi è un progetto da portare a compimento, l’opera d’arte più importante, che passa attraverso la possibilità di scegliere di affrontare le difficoltà e le sfide che incontriamo.

La voce delle pazienti:
Sono trascorsi due anni da quando mi sono ammalata.
Il mio percorso di cura continua tra alti e bassi. La mia famiglia vive la malattia insieme a me: sono cambiate tante cose e ci sono stati momenti difficili ma li abbiamo vissuti insieme ed abbiamo scelto di vivere e andare avanti. Oggi c’è il sole, appena torno a casa esco con mio figlio e mio marito; il nostro ometto sta crescendo in fretta …

A tutti i pazienti oncologici e ai familiari
che ho l’onore di accompagnare

Bibliografia

Waldron EA, Janke EA, Bechtel FC, et al. A systematic review of psychosocial interventions to improve cancer caregiver quality of life. Journal of Psychological, Social and Behavioral Dimensions of Cancer 2013; 22(6): 1200–1207.

Gritti P, Di Caprio EL, Resicato G. L’approccio alla famiglia in psiconcologia. Clinica Psiconcologica 2011:2: 115-35.