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Capitolo 4

Vivere la malattia: affronta, cura, progetta

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”
H. Murakami

VIVERE LA MALATTIA: quando ciò che non ho scelto mi appartiene comunque

Tutta la varietà, tutta la delizia,
tutta la bellezza della vita è composta d’ombra e di luce.
L. Tolstoj

Ricevere una diagnosi di tumore dà avvio ad un’esperienza ricca di molteplici implicazioni. L’irruzione del cancro trapassa la vita in corso creando una frattura tra il “prima” e il “dopo”. Ammalarsi non è il frutto di una libera scelta e non rientra tra i progetti di vita attuali o futuri. Indipendentemente dal tipo di diagnosi, dalle cure mediche previste e dalla prognosi, l’incontro con la malattia può mutare la visione che la persona ha di Sé e del mondo: i vissuti di gioia, i desideri e le speranze per il futuro incontrano ansie, timori e sentimenti di incertezza e lo sguardo inquadra prospettiva nuove, confrontandosi maggiormente con il tema della sofferenza e la paura della morte.

Gli eventi in corso possono favorire l’insorgenza di una crisi personale profonda, che costringe la paziente a confrontarsi con il senso di precarietà della propria esistenza, con la rabbia e l’ingiustizia per quanto sta avvenendo, con la percezione di perdita del controllo sugli eventi e con l’angoscia che ne consegue.

Inoltre, i possibili effetti collaterali dei trattamenti medici (nausea, vomito, perdita dei capelli, astenia), la necessità di sottoporsi ad interventi chirurgici talvolta demolitivi e l’eventuale insorgenza di ulteriori sintomi nel corso del tempo (dolore, linfedema, riduzione della mobilità) possono influenzare lo stile di vita alterando gli schemi e le abitudini adottate in precedenza.

Ci si può sentire in balia degli eventi, come una barca che affronta una tempesta in mare aperto, di notte, senza scorgere un porto sicuro all’orizzonte.

La scoperta della diagnosi genera un tumulto emotivo che rappresenta il primo passo calcato su un nuovo palcoscenico. Il resto della sceneggiatura è ancora tutto da scrivere.

La voce delle pazienti:
Ho 36 anni, un lavoro, un marito e un figlio adorabile, tanti progetti. Poi un giorno le cose cambiano…. CANCRO: 6 lettere che pesano come macigni e mi spingono sempre più giù, in un abisso senza fondo. Il medico mi parla, mio marito mi dà la mano e la stringe forte ma io vorrei solo scappare…non può essere vero, non sta accadendo a me» – mi ripeto con forza -. Ho 36 anni, un lavoro, una splendida famiglia e tanti progetti ed oggi ho paura che il cancro possa rubarmi tutto questo.

Il successivo adattamento psicologico al cancro è un processo in continua evoluzione, un misto di speranza e disperazione, di forza e fragilità, di fatica e di sollievo, di cadute e nuove conquiste che continua nel tempo tra accelerazioni e battute d’arresto. La malattia rischia di diventare un masso che, rotolando verso di noi, diventa una slavina tanto grande da sommergere la nostra esistenza facendoci sperimentare sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia e paura.

Ci vuole molto coraggio per decidere di affrontare ciò che non abbiamo scelto!

È necessario stipulare un nuovo patto con se stesse per vivere ciò che sta accadendo: ciascuna ha la propria strada, ciascuna ha le proprie risorse e ciascuna può e deve trovare il proprio modo di governare la malattia impegnandosi ad affrontarla nel modo migliore possibile!

Tra le tante pazienti incontrate nella pratica clinica, ognuna ha scelto di vivere il percorso di cura a modo proprio: alcune hanno voluto condividere fin da subito quanto stava loro accadendo con gli amici e le persone care mentre altre hanno fatto fatica ad aprirsi agli altri. Davanti alla perdita dei capelli, ho visto pazienti affrontare la calvizie con un tocco di vanità indossando foulard diversi ogni giorno per abbinarli all’abito scelto, mentre per altre superare il trauma del guardarsi allo specchio è stato più difficile e faticoso.

Anche la vita affettiva e sociale diventa un importante banco di prova in cui rimettersi in gioco per cercare nuove abitudini. Alcune pazienti hanno continuato a mantenere il più possibile i ritmi e le abitudini di vita precedenti continuando ad accompagnare i figli a scuola, ad accettare inviti per una cena tra amici o un caffè in compagnia mentre per altre il richiamo a stare di più a casa si è fatto sentire con maggiore forza, limitando le uscite e le visite di amici e parenti. Alcune hanno dovuto affrontare il dispiacere di dover rinunciare al lavoro per un periodo di tempo più o meno prolungato, altre hanno potuto conciliare il percorso di cura con la prosecuzione dell’attività lavorativa.

Indipendentemente dai vari scenari illustrati, tutte prima o poi hanno attraversato momenti di sconforto, fatica e tristezza ed è proprio lì che hanno scelto come affrontare le difficoltà, confermando o rimodulando i comportamenti adottati fino a quel momento. Molte pazienti hanno revisionato il proprio atteggiamento di chiusura e di evitamento ricominciando ad uscire e a frequentare persone e posti precedentemente cari. Altre hanno dovuto fare i conti con i limiti imposti a volte dalla cura, sperimentando la possibilità di “lasciar andare” per scoprire che qualche giorno di riposo a casa o la rinuncia a qualche invito non le rendeva persone meno valide ed efficienti. Tutte si sono impegnate a vivere la sfida della cura giorno dopo giorno.

È importante comprendere che la presenza di livelli moderati e fluttuanti di stati di ansia, sentimenti di tristezza e sconforto, sensazioni di vulnerabilità, vissuti di paura, temi di rabbia, fa parte di una risposta fisiologica all’esperienza di malattia. Tali sintomi costituiscono una condizione reattiva agli eventi di vita e suscettibile di variazioni lungo la traiettoria di malattia. (Biondi, Costantini, Wise 2014).

Così come il passaggio delle nuvole in cielo, come l’alternanza del giorno e della notte, come la variabilità di una tempesta cui segue il bel tempo, allo stesso modo la nostra mente e la nostra anima sono attraversati da molteplici vissuti emotivi che fanno da cassa di risonanza rispetto alle esperienze vissute. Essi rappresentano un punto di partenza, uno svincolo a volte difficile ma necessario, un ponte da attraversare per raggiungere una nuova sponda e proseguire il viaggio.

La diagnosi di malattia, gli interventi chirurgici e le cure mediche, possono essere vissuti come un affronto, uno scherzo del destino, una beffa che irrompe nel momento sbagliato (ci sono i figli da crescere, una famiglia di cui occuparsi, la pensione tanto desiderata di cui finalmente poter godere, i tanti progetti di vita e lavoro avviati…).

Eppure, nonostante tutto, si tratta di passare dal sentirsi sopraffatti dall’irruzione della malattia nella nostra vita, al voler affrontare ciò che accade; non ci sono ricette magiche o vittorie a buon mercato, sappiamo che il cammino è lungo e accidentato ma è comunque un cammino possibile!

AFFRONTARE LA MALATTIA: una strada percorribile.

Vulnerabilità e cancro: Riparare con l’oro

La vita non è aspettare che passi la tempesta
ma imparare a ballare sotto la pioggia.
M. Gandhi

La diagnosi di cancro può rappresentare un evento traumatico, una ferita che squarcia la tela su cui avevamo scritto i nostri progetti, favorendo così la comparsa di vissuti di vulnerabilità e fragilità.

In tali circostanze è necessario comporre un lavoro di rielaborazione del trauma vissuto e della sofferenza che ne consegue. Il primo passo consiste nella possibilità di elaborare la propria fragilità, a partire dall’accoglienza delle vulnerabilità sperimentate. La possibilità di sentirsi fragili e vulnerabili appartiene all’esistenza umana: ogni volta che nella nostra vita accade qualcosa che scardina il nostro sistema, interrompe la progettualità e scuote il nostro mondo emotivo ci sentiamo maggiormente esposti ai rischi e alle difficoltà.

Ciò può alterare gli equilibri precedentemente raggiunti e farci sentire più vulnerabili. Per prima cosa è necessario riconoscere il valore della propria vulnerabilità piuttosto che continuarne ad averne paura.

La fragilità accolta ci permette di elaborare il dolore.

La capacità di riconoscere e nominare i sentimenti, vissuti e stati d’animo provati accettandoli senza giudicarli, rappresenta una funzione fondamentale per il nostro benessere che potremmo paragonare alla capacità del maestro d’orchestra di dirigere i musicisti facendo in modo che i vari strumenti possano suonare in armonia tra loro.

Ascoltare le proprie vulnerabilità vuol dire contemplare la possibilità di attraversare momenti difficili: la cosa importante è che posso imparare a curare le mie ferite per renderle cicatrici guarite, testimoni delle mie capacità di recupero.

Così facendo la sofferenza emotiva diventa parte di una strada da percorre senza rimanerne incastrati, porzione di un percorso di cura che coinvolge corpo e mente e permette di conquistare nuovi territori dell’anima, rinforzando il significato attribuito alla propria esistenza. Come le onde, infrangendosi a riva depositano sul bagnasciuga conchiglie e altri tesori sommersi, allo stesso modo il riconoscimento delle nostre parti fragili ci permette di accedere a risorse mai esplorate prima, di imparare ad affrontare le criticità, a surfare l’onda piuttosto che rimanerne sommersi.

La voce delle pazienti:
Inizio le cure ma il futuro mi sembra sempre più nero.
Decido di non andare al lavoro perché mi sembra di non farcela.
Mi sento un’aliena atterrata su Marte: tutti si avvicinano per chiedermi come sto e questo mi provoca disagio. Anche un banale sguardo sembra trafiggermi.
Mi sento fragile come un bicchiere di cristallo che si rompe solo se lo tocchi. Soffro tanto, faccio fatica a dormire:“mi sveglierò?” – penso -. Non riesco a stare in mezzo alle altre persone, ho dolori dappertutto, mi gira la testa, il cuore mi batte forte e mi sento infinitamente triste….

Vivere l’esperienza della malattia con tutto il suo carico di vissuti dolorosi rappresenta un’occasione per sviluppare nuove risorse e ri-disegnare traiettorie per la vita futura, aprendo ulteriori scenari di possibilità davanti a sé. Possiamo paragonare il valore della vulnerabilità alla tecnica orientale del ‘kintsugi’, che significa letteralmente “riparare con l’oro”. Questa pratica utilizza metalli preziosi per riparare oggetti di ceramica.

La tecnica consente di trasformare oggetti “rotti’ in oggetti “preziosi’, pezzi unici che acquistano maggior valore proprio in virtù della riparazione conseguente alla rottura. In quest’ottica, l’imperfezione di una crepa e la rottura di un oggetto in due o più parti, viene valorizzata riparandola con colature d’oro o d’argento che conferiscono all’oggetto una maggiore “credibilità”.

Quel nuovo manufatto è depositario di una storia da raccontare, esattamente come accade a ciascuno di noi. Siamo integri non perché perfetti ma piuttosto ricomposti. Curiamo le nostre ferite sviluppando capacità che ci rendono più forti a partire dalla nostra vulnerabilità. Impariamo l’arte di elaborare e collocare ciò che accade potendo disporne in termini di nuove risorse che da allora in poi, saranno pronte all’uso.

Elaborare una ferita è un procedimento lungo che necessita di pazienza, cura e rispetto dei tempi. Talvolta può essere utile chiedere aiuto per completare il processo poiché non si può fare tutto da soli. In molti casi è consigliabile rivolgersi ad uno psico-oncologo per ricevere supporto nel processo di elaborazione.

Camminare nella giusta direzione: “Accanto e oltre” ma non “di fronte e ovunque”

Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta.” k. Gibran

Esistono incontri nella vita che non vorremmo mai avere, appuntamenti che preferiremmo rimandare. Eppure ci sono esperienze da cui non possiamo sottrarci; in questi casi la sfida più sana consiste nell’affrontarle nel modo migliore possibile, per come siamo e per come possiamo.

Quando siamo costretti a confrontarci con il cancro è bene monitorare le strategie adottate facendo attenzione a riconoscere che stile di adattamento stiamo utilizzando.

Il modo in cui percepiamo la malattia, se ad esempio la viviamo in termini di cura, di possibile guarigione o di sconfitta certa, rappresenta la bussola che ci orienta, il motore che organizza i nostri comportamenti e influenza la capacità di far fronte agli eventi.

Di seguito propongo la definizione di un modello che potremmo schematicamente chiamare “Di fronte e ovunque” e “Accanto e oltre”, elaborato per descrivere due possibili stili di adattamento

“Di fronte e ovunque”: quando il ragno tesse la sua tela

Affrontare una patologia oncologica vuol dire anche “imparare dove collocarla”. Quando l’incontro con la malattia è altamente traumatico, quando oggettivamente lo sconvolgimento di vita è massivo e i ritmi e le abitudini quotidiane cambiano drasticamente, rischiamo di far diventare la malattia l’unico specchio in cui riflettere la nostra immagine, l’unico paradigma di riferimento.

Può capitare che, senza rendercene conto, le permettiamo di prendersi tutto il nostro spazio vitale: il cancro governa i nostri pensieri, orienta le nostre azioni, interviene nella visione che abbiamo di noi stesse e può influenzare le relazioni affettive più significative.

Nel modello “di fronte e ovunque” gli schemi di vita precedentemente adottati saltano, le giornate sono scandite da pensieri ed emozioni riguardanti la malattia e l’intero sistema di vita ruota intorno ad essa.

Senza rendercene conto possiamo ritrovarci incastrati in una tela simile a quella di un ragno che cattura le sue vittime, immobilizzati dai nostri stessi pensieri e delle nostre paure.

Nel momento in cui si cambiano drasticamente le abitudini di vita, ci si ritrova a pensare spesso e con una certa intensità alle conseguenze della malattia, agli effetti collaterali dei trattamenti, al rischio di recidiva o alla possibilità di una progressione, si sviluppano preoccupazioni insistenti e intrusive che alimentano circuiti emotivi disfunzionali (Molina et al. 2015; Brosschot, Gerin, & Thayer, 2006).

L’uso massivo di processi di pensiero dominati dal rimuginio è responsabile dell’aumento dell’ansia e dei livelli di distress ed è correlato ad una peggiore qualità di vita (Wu et al. 2013).

L’ansia e la paura diventano così sgradite ma fedeli compagne di viaggio che occupano tutti gli scomparti disponibili. Di colpo nulla è più certo, nessun luogo è più sicuro. La consapevolezza della malattia ha scavato un solco nella mente della persona e niente sembra essere più come prima.

Anche al termine del percorso di cura, durante la prosecuzione delle visite di controllo o a distanza di anni, tale frattura può manifestarsi fino a suggestionare la visione del futuro che sembra funestato dal presagio di certezza di una recidiva di malattia: “non so come né quando ma sono certa che prima o poi mi riammalerò”.

La voce delle pazienti:
Da quando mi sono ammalata tutto mi sembra senza senso.
Non trovo più gioia in ciò che facevo prima. Mille domande affollano la mia mente ed io mi sento scoppiare il cuore.
Perché è successo a me? Cosa mi accadrà ora? Guarirò? Potrò continuare a lavorare?
Sono arrabbiata: con la vita, con la mia malattia e con me stessa perché faccio fatica a reagire.

“Accanto e oltre”: io sono io e tu sei tu!
E’ possibile adottare pattern adattivi maggiormente funzionali che potremmo riassumere con il paradigma “accanto e oltre”. Il cancro, più di ogni altra malattia, richiama il paziente ad uno sforzo continuo e ripetuto di riorganizzazione. In alcuni periodi gli interventi chirurgici e gli appuntamenti per sottoporsi alle cure mediche scandiscono l’agenza settimanale o mensile, in altre circostanze la necessità di sottoporsi a controlli con cadenza regolare e l’attesa dei risultati altera il ritmo del tempo che sembra sospeso in una terra di mezzo senza possibilità di tornare indietro o andare avanti.

Tutto ciò può intaccare la percezione di avere un potere sulla propria vita. Al contrario, la consapevolezza circa il proprio stato di salute deve coniugarsi con la capacità personale di utilizzare strategie adattive finalizzate ad integrare la malattia con il resto dell’esistenza.

Curare la malattia vuol dire anche prendersi cura in modo adeguato di se stesse e del proprio mondo, che continua ad esistere e ad avere valore. Utilizzare il paradigma “accanto e altrove” significa riconoscere la presenza della malattia nella nostra vita senza conferirle un ruolo di sovranità: “con” la malattia e “nonostante” la malattia si rimane pienamente protagonisti della propria esistenza.

La possibilità di sentirsi al timone della propria vita e il senso di “controllo” su di essa non si coniuga con la certezza che saremmo sempre noi a decidere in che direzione andare. Piuttosto, essa si declina in un’assunzione di responsabilità che ci porta a riconoscere che nonostante le migliori intenzioni non sapremo mai esattamente cosa ci aspetta dietro l’angolo ma possiamo scegliere di impegnarci per affrontare al meglio ciò che non potremmo evitare.

Tale condizione emotiva rappresenta la più alta e autentica forma di controllo possibile poiché non dipende dalla bontà degli eventi ma dalle nostre scelte. Così, la presenza della malattia potrà essere più o meno ingombrante e sgradevole nel tempo ma sarà “una” presenza che lascia comunque spazio ad altro.

È quell’ “accanto” che mi cammina affianco ma non per questo determina il mio percorso. Se il modello “di fronte e ovunque” ricorda la tela di un ragno che immobilizza le sue prede, il paradigma “accanto e oltre” è simile ad una persona che si ritrova caricata di grandi pesi. Li porta con difficoltà, dovrà fermarsi spesso per una sosta, avrà bisogno di ricevere tutto l’aiuto possibile ma nonostante il suo fardello continua a muoversi: potrà orientare il proprio cammino, bilanciare il carico per procedere più speditamente, liberarsi del peso non necessario e continuare scegliere la direzione in cui vuole andare!

Se l’“accanto” declina il presente definendo la scelta del modo in cui stare in compagnia della malattia, l’ ”oltre” proietta nel futuro. Esso riguarda la capacità di mantenere una progettualità e coltivare la speranza. Coltivare la speranza è parte integrante della cura del cancro.

Oggi, nonostante la diagnosi di cancro al seno, si può vivere bene e a lungo ma per fare questo occorre conservare un atteggiamento fiducioso, un “oltre” che non si ferma alle difficoltà del presente ma riesce ad immaginare scenari futuri.

La speranza non si configura come l’atteggiamento cieco di chi non vuole guardare la realtà. Al contrario, per coltivare un atteggiamento di fiducia occorre partire dai dati del reale. In primo luogo, ci si può soffermare a riflettere sul presupposto che l’angoscia e la paura evocate dal cancro rappresentano uno dei due volti della medaglia: l’altra faccia riguarda la voglia di vivere!

È necessario comporre le due visioni in un’unità per poter decidere quale risvolto della medaglia guardare. Entrambe le parti continuano ad esistere ma ne guarderò una più frequentemente dell’altra.

Il volto della paura immobilizza, imbriglia in una rete di angoscia che chiude sempre di più il cielo sopra di noi. Ma se ho così tanta paura è perché ho voglia di vivere e così posso ascoltare questo suono e farmi condurre da esso fino alle porte della speranza.

Tu quale volto della medaglia stai guardando? Nonostante la consapevolezza delle difficoltà vissute nel tempo presente, coltivare la speranza allarga gli orizzonti e permette di profetizzare scenari futuri che oggi sembrano impossibili da realizzare. Quanti visionari carichi di speranza abbiamo avuto nella storia dell’umanità: Colombo e la scoperta dell’America, i fratelli Wright, pionieri del volo, Martin Luther King, l’ammaraggio dell’Apollo 11 sulla Luna passando per la possibilità di costruire pozzi in zone rurali dell’Africa fino alle grandi scoperte fatte in campo medico. Sono solo alcuni esempi di persone che nonostante le difficoltà incontrate hanno continuato a sperare e a coltivare i loro sogni fino a renderli progetti possibili.

Non bisogna aspettare di essere guariti per iniziare a sperare e per riprendere in mano i disegni di vita congelati durante la malattia.

Nonostante gli avvenimenti non scelti è necessario portare avanti una progettualità, magari revisionata in base alle condizioni cliniche, ma comunque viva e presente. A volte coltivare la speranza permetterà di immaginare un futuro di guarigione, altre volte riguarderà la possibilità di cronicizzare la patologia per lungo tempo, altre ancora riguarderà il mantenimento della migliore qualità di vita possibile.

In tutti i casi sperare equivale ad un atto di giustizia che riguarda il diritto\dovere di puntare al massimo delle proprie possibilità, di usare le difficoltà per migliorare e le crisi per crescere. Così il progetto di un futuro diventa architettura del presente e sfida che eleva il cuore e permette di andare “oltre” la malattia.

Ogni fine è un nuovo inizio
Le tante parole scritte sono la testimonianza delle molteplici difficoltà provocate dall’irruzione del cancro nella vita della persona colpita dalla malattia e della famiglia che condivide la stessa deflagrazione. Ma ancor di più, sono la dimostrazione di tutta la forza, la competenza e le risorse che ciascuno di noi sviluppa ed impara ad usare “sul campo”, a partire dall’ascolto della propria vulnerabilità.

Vivere l’esperienza della malattia oncologica vuol dire non sottrarsi al potere dei venti e alla forza del mare scegliendo, durante la tempesta, il modo in cui affrontarla.

È possibile affrontare la malattia se si decide di accoglierla in quell’”accanto e altrove” che permette di gestire il processo trasformativo innescato dalla diagnosi, a partire dalla perdita degli alcuni equilibri e certezze precedenti che vanno ridefinite per ridare nuovo senso alla propria esistenza.

Curare la malattia è un processo integrato che coniuga il valore delle terapie mediche con la considerazione e il riguardo per il senso di Sé, della propria identità e del proprio mondo interiore fatto di affetti, vita sociale, relazionale e lavorativa.

In tutto ciò si erge la necessità di continuare a coltivare la speranza e a progettare la propria esistenza: la vita di ciascuno di noi è un progetto da portare a compimento, l’opera d’arte più importante, che passa attraverso la possibilità di scegliere di affrontare le difficoltà e le sfide che incontriamo.

La voce delle pazienti:
INTEGRARE!!!!
Una parola di 9 lettere che diventa un proclama, un impegno, una sfida di ogni giorno. Inizio a pensare che la mia vita mi appartiene, non è finita, io sono sempre io e posso ancora vivere e amare…mio marito, i miei figli, i miei amici - Mi sono ricordata di averne tanti!!-. Non posso controllare tutto ciò che dovrebbe accadere nella mia esistenza ma posso decidere in che modo voglio affrontare ciò che mi capita….
Ed oggi scelgo di vivere!!
Ora so che posso passare dalla parola “FINCHE’” alla parola “NONOSTANTE”. Nonostante in questo momento della mia vita le cose non vanno come io voglio… è sempre la mia vita!! Miei i desideri, miei i bisogni, i sogni, i progetti, mia è la battaglia e mia può essere la vittoria: la consapevolezza di aver vissuto da protagonista, di aver occupato il posto che mi spetta! Ho ripreso a lavorare, ad occuparmi delle preoccupazioni di ogni giorno – a proposito: oggi si è rotta la lavatrice ed ha allagato il bagno! -, a fare le file a scuola per parlare con i professori, a dare regole sull’orario di rientro che non sempre vengono rispettate. In tutto questo il cancro c’è ancora ma ogni giorno gli dico ... stai accanto a me ma oggi si fa a modo mio!

Bibliografia

Biondi M, Costantini A, Wise TN (a cura di). Psiconcologia. 2014, Raffaello Cortina Editore,

Molina Y, Ceballos RM, Dolan ED, Albano D, McGregor BA. Perceived breast cancer risk and breast cancer worry among women with a family history of breast cancer: a new perspective on coping as a mediator. Psychooncology, 2015;24,113-116.

Brosschot JF, Gerin W, Thayer JF. The perseverative cognition hypothesis: a review of worry, prolonged stress-related physiological activation and health. Journal of Psychosomatic Research, 2006;60,113-124.

Wu SM, Schuler TA, Edwards MC, Yang HC, Brothers BM. Factor analytic and item response theory evaluation of the Penn State Worry Questionnaire in women with cancer. Quality of Life Research,2013;22,1441-1449.